domenica 1 gennaio 2012

Top 10 2011

Il 2011 è stato un anno straordinario (fin'ora senz'altro il più importante della mia vita), per tutta una serie di ragioni di cui non starò qui a far l'elenco (anche perchè dubito freghi qualcosa a qualcuno). Fra le altre cose è stato l'anno in cui ho abbandonato, pressocchè del tutto, molte delle mie passioni (alcune delle quali coltivate da dieci, quindici anni - ossia da sempre), per abbracciarne ed essere completamente assorbito da una sola, la Letteratura.
Non ho mai letto tanto come nel 2011. E' possibile che abbia letto in quest'anno (in realtà, nel periodo che va da Marzo in poi) più libri di tutti quelli dei vent'anni precedenti messi insieme. Sono passato dall'essere un "casual reader" al prestar più attenzione alla scelta delle mie letture, ad arrivar a far testa-o-croce per decider quale libro iniziare fra quelli sul comodino.
Leitmotiv di quest'anno è stato, probabilmente, il desiderio di "mettersi in pari". Di leggere, insomma, tutti quei libroni che sono alla base della Letteratura mondiale, in ambito storico o contemporaneo, e i Classici (per definizione) l'hanno fatta inevitabilmente da padroni; almeno fino all'Autunno-Inverno, e alla nuova passione per il postmoderno e per la Letteratura Americana Contemporanea.
Ok ho parlato troppo. Ci tengo solo a precisare che
- 10 libri sono davvero pochi, e restano esclusi dalla lista autori che ho amato alla follia (per dirne due, Wells e Conrad) e libri che senz'altro non dimenticherò facilmente.
- Ho cercato di giudicar le mie letture in maniera equilibrata. Ho scelto quelle che mi sono parse più significative, più belle, più profonde, migliori. Mah... la verità è che non lo sò bene nemmeno io, come ho scelto.
Top 10!


 [cliccare sul titolo del libro per leggerne la mia recensione]

Io sono un prosaiolo convinto, un romanzista radicale, un fondamentalista della narrazione. Non per particolari convinzioni letterario-filosofiche, ma semplicemente perchè considero la prosa sciolta (in realtà, il più sciolta possibile) il mezzo ideale per una narrazione efficace; e, come detto, la narrazione è ciò che mi interessa del mondo letterario. Che cavolo ci fa, dunque, un poeta in top 10?
Su Yeats verteva il corso di Letteratura Inglese del mio primo anno di laurea triennale, e per preparar tale esame ho praticamente vissuto il mese d'Agosto a contatto con questo libro. Ho imparato ad approfondire l'opera dell'autore, a capirne le posizioni, gli ideali e la visione del mondo... almeno un pochettino. Sarà perchè nemmeno io sono immune al fascino di certa poesia, e quella di Yeats è davvero bella; sarà perchè, almeno in parte, mi ci ritrovo in quest'irlandesotto occhialuto; sarà per una qualche forma di sindrome di Stoccolma, non me la son sentita d'escluderlo dalla classifica.

Non è mai troppo tardi per apprezzare il miglior Verne. Non solo le Ventimila Leghe sono, con ogni probabilità, il capolavoro del suo autore; non solo sono forse il miglior racconto d'avventura mai scritto; ma costituiscono uno dei rari e preziosi esempi di romanzo completo, di libro in cui una storia divertente, appassionante ed intrigante sostiene una riflessione profonda e intelligente e un approfondimento di tutto rispetto. Per la sua spettacolare ambientazione, per il suo carico d'azione e per la maestosa figura di quel moderno Ulisse che è il capitano Nemo, le Ventimila Leghe meritano d'entrar in classifica; se avessi scelto di giudicar solo “con la pancia”, sarebbero probabilmente state sul podio.

Ripensandoci adesso, ciò che mi ha spinto ad approcciar quest'opera dev'esser stata una geniale intuizione, una smania di completezza o un'attacco di follia. Sono infatti un tipo piuttosto restio ad iniziar romanzi lunghi (oltre le 500 pagine) se privo della convinzione che si riveleranno bei libri; e tutti gli indizi, coi Promessi Sposi, puntavano al no (non ultimo l'odio che innumerevoli generazioni han riversato sull'opera in età liceale).
E invece ho fatto bene, perchè I Promessi Sposi è un romanzo avvincente e mai banale, scritto con la giusta dose d'ironia - ma capace anche della giusta intensità, nei passaggi determinanti. E' un libro in cui all'intera trama è sottesa una precisa visione del mondo (per quanto antiquata) e in questa sua genialità architettonica è raggiunto, in Italia, dal solo Ciclo dei Vinti.

Mio primo approccio con l'autore, Non è un Paese per Vecchi è stata un'esperienza folgorante e meravigliosa. Raramente ho incontrato un libro caratterizzato da una così forte dose di realismo, da una così alta fedeltà alla realtà più brutale, da una così completa mancanza di speranze ed illusioni - eppure capace d'evocar così tanta bellezza, così tanta bontà e sensibilità. Indimenticabili le riflessioni in corsivo, su una d'esse m'incantai letteralmente - passando una sera intera a rilegger lo stesso paragrafo. Un'esperienza indimenticabile - oltre che un bellissimo thriller dal sapore di West.

Metter i Dubliners fuori dalla top 5 mi par un crimine, ma può dar un'idea della qualità delle letture che, per mia fortuna, ho potuto intraprendere quest'anno. Dipinto iperrealista, a tratti brutale ma sempre disarmante, della mentalità europea nella società d'inizio secolo; e al contempo qualcosa di diverso, e superiore. Non esagero se affermo che il suo racconto conclusivo, il celebre The Dead, riesce in una manciata di pagine ad affrescare l'intero meccanismo della vita umana (sfida, lotta, trionfo, delusione), costituendo a conti fatti forse il miglior testo in prosa ch'abbia mai affrontato.


Colossale romanzo storico sulla Guerra Fredda, capace d'evocar un'immensa epicità - ma generalmente connotato da un netto e brutale realismo, Underworld avrebbe tutte le carte in regola per essere il mio romanzo preferito - parla di America, Guerra Fredda e Baseball, tutte cose che amo (la Guerra Fredda... non pensate male). Non lo è, perchè nella sua volontà totalizzante - la volontà di dare una voce a un'epoca chiave della storia umana - Underworld si concentra unicamente sugli aspetti più turpi e meschini di tale storia, in un'epopea che è il trionfo dello squallore, della disonestà, dell'orrore, della guerra e dell'inganno. Ma in questo, riesce al meglio dell'umanamente  possibile. Un romanzo scritto meravigliosamente, complicato in maniera geniale, e a tratti semplicemente splendido.

La "grande follia" dello scorso Agosto: l'Ulysses in inglese. L'esperienza mi ha quasi ucciso, ma ne è valsa decisamente la pena: senza dilungarmi, l'Ulysses è nettamente il romanzo più geniale che io abbia letto, il libro scritto meglio che mi sia capitato tra le mani e l'opera d'arte più "densa" a cui io riesca a pensare. La grande difficoltà (data dall'elevata cripticità) ne azzoppa la lettura, e la sostanziale banalità di fondo della vicenda rischiano di risultar, a tratti, frustranti (com'è pur frustrante legger un libro di cui, chiaramente, si stà capedo una parola ogni due e un accenno ogni cinque). Il mio è un giudizio assolutamente non-definitivo, e mi piacerebbe in un prossimo futuro rileggerlo dedicandovi il dovuto tempo (come minimo, molti mesi).

Il posto più basso d'un podio ch'è in realtà assai omogeneo non poteva non appartenere al mio romanziere preferito e a quello che è (forse) il suo capolavoro. Ormai da molti mesi mi pongo questa domanda, ossia quale delle due opere (compiute) del Ciclo dei Vinti io preferisca; e la risposta, probabilmente, non esiste. Perchè il Mastro-Don Gesualdo è il proseguimento sensato, lineare e inevitabile delle vicende di 'Ntoni Malavoglia, del suo desiderio di riscatto (che è puro will of power) destinato ad esser frustrato dalle avversità, dal destino, dall'ingiustizia di questo mondo. Dove I Malavoglia erano soprattutto (ma non solo) una metafora del distacco adolescenziale, il Mastro-Don lo è della crescita e dell'invecchiamento, dell'ascesa e della caduta che ogni uomo si trova ad affrontare - e che gli uomini più intraprendenti soffrono con maggior dolore. Un libro letteralmente perfetto.

"A novelist who is also a true poet", è scritto sul retro dell'edizione Penguin dei libri di Steinbeck, ed è una dicitura che m'ha sempre lasciato perplesso. Perchè da prosista convinto (vedi Major Works) la consideravo vagamente offensiva, neanche esistesse un rapporto gerarchico tra i generi. Eppure, leggendo l'opera di Steinbeck ci si accorge come ci sia del vero in quelle parole. Come altro esprimere la terribile alchimia che regola queste poche, auree pagine, quel misterioso equilibrio tra realismo e sogno, tra brutalità e meraviglia, tra l'orrore della vita vera e la bellezza incontaminata delle emozioni e della fantasia?
Il romanzo più toccante che io abbia mai letto e senz'altro quello che, pensando al solo piacere della lettura, ho più apprezzato quest'anno.

Ho letto il Don Chisciotte perchè costretto: era nel programma d'esame di Letterature Comparate. L'ho letto dicendomi "ok Mattia, sul comodino ti aspetta il Mastro-Don (pensate che bello, due capolavori uno-dietro-l'altro), ma prima devi leggerti questo: ce la puoi fare in due settimane".
E ce l'ho fatta. Forse oggi non mi peserebbe così tanto (ho preso un ritmo di lettura diverso), ma all'epoca - scorso Marzo - fu davvero dura. In treno, sul divano, al parco, a letto, consumai quest'opera in una corsa con me stesso vinta con un giorno d'anticipo. Ed è stato meraviglioso.
Il Don Chisciotte è un romanzo intelligente, è vero; è una fantastica riflessione, è vero; è un importante documento storico e di costume; ma è anche e sopratutto il
primo
bel
libro
della storia. Non prendiamoci in giro, leggere l'Iliade &co. può esser bello ma non è la stessa cosa. Questo è un romanzo, è un romanzo occidentale in accezione moderna, e non è solo uno dei primi - è anche uno dei migliori. Non ho mai trovato libro più divertente, e raramente mi sono imbattuto in personaggi meglio caratterizzati. Al termine delle due settimane ero contento d'avercela fatta; ma ero, insieme, profondamente rattristato dal distacco con l'opera. Il che, frasi fatte a parte, a me non succede poi tanto spesso.
Probabilmente il libro che m'ha fatto capir quanto sian importanti per me i libri, e per questo si merita senz'altro la prima posizione sul podio.

2 commenti:

  1. L'edizione di Yeats che citi sembra bellissima. Ho iniziato a leggere Yeats mentre studiavo in Irlanda, poi sono andata a visitare Coole Park, e ho iniziato a leggere anche qualcosa di Lady Gregory. Non sono una esperta di poesia e anche io, se devo scegliere, istintivamente vado verso la prosa. Ma Yeats ha un non so che, che mi parla da vicino. (Ps sono capitata qui da Anobii, complimenti!)

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  2. Inanzitutto grazie ^^ in secondo luogo sì esatto, la penso allo stesso modo! Sarà perchè nel mio piccolo mi par di "capir" spesso cosa voglia dir, sarà perchè anche solo a livello puramente stilistico (/musicale, /ritmico-rimico) lo trovo decisamente sopra la media (questo però soprattutto per il suo primo periodo), Yeats lo metto un (un?) gradino sopra gli altri poeti che conosco.

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